domenica 28 ottobre 2012

1. RUOLO E CRISI DEI PARTITI POLITICI


1.1 Obiettivi, macro-tipologie di processo, monopoli e funzione storica delle organizzazioni politiche

I partiti politici esistono per conseguire 2 obiettivi, fra loro correlati:
  • la creazione del consenso
  • il governo della Cosa Pubblica
La creazione del consenso si concretizza attraverso una serie di processi, interni ai partiti, finalizzati alla produzione di idee, programmi, e progetti, alla rilevazione dei bisogni della società civile, al dialogo con altre realtà associative (ad esempio sindacati, associazioni di imprenditori, ecc …) al tesseramento, che consente ai partiti di portare al proprio interno rappresentanti del contesto sociale e produttivo. Tutti questi processi sono finalizzati ad acquistare credibilità, per ottenere la fiducia degli elettori.
Il governo della cosa pubblica, invece, è esercitato dai singoli rappresentati dei partiti (gli eletti) all’interno delle istituzioni. Attraverso i propri eletti, i partiti politici esercitano una funzione pubblica, che si concretizza nella conduzione di processi di scelta, controllo, indirizzo sull’operato della componente burocratico-amministrativa dello Stato, delle Regioni, dei Comuni. La funzione di governo dei partiti si estende anche ad eventuali altri Enti non territoriali di rilevanza pubblica o a Società a partecipazione pubblica.
Nel sistema politico democratico, le idee, i progetti e i programmi dei partiti vengono trasferiti dalla sfera del consenso alla sfera di governo attraverso le elezioni. Per partecipare alle elezioni, i partiti devono mettere in atto una ulteriore serie di processi, finalizzati alla scelta dei candidati, alla definizione di eventuali alleanze e del programma di governo, alla gestione della comunicazione (propaganda elettorale).
Riassumendo, i partiti politici gestiscono tre distinte macro-tipologie di processi:
1.       Processi di produzione del consenso (elaborazione di idee, programmi e progetti; rilevazione dei bisogni del contesto sociale ed economico;  tesseramento)
2.       Processi di selezione elettorale (individuazione dei candidati, scelta delle alleanze, definizione di un programma di governo, gestione della comunicazione e della propaganda elettorale)
3.       Processi di governo (attività di scelta, controllo e indirizzo dell’operato della pubblica amministrazione, esercizio del potere legislativo ed esecutivo)
I partiti politici sono stati, fino ad oggi, i principali protagonisti delle democrazie parlamentari: pur non avendo detenuto il monopolio sulla produzione del consenso (non sono gli unici produttori di idee, progetti e programmi di miglioramento e gestione delle dinamiche economiche e sociali), hanno avuto il monopolio sui processi di selezione elettorale e sui processi di governo.
Una prova “in negativo” della centralità dei partiti nell’età contemporanea è rappresentato dal fatto che dittature come il Fascismo in Italia, o il Nazismo in Germania, siano sorte “sfruttando” strutture di governo basate sui partiti, imponendo un Partito Unico, in grado di detenere il controllo assoluto sulla produzione del consenso e sui processi di governo, e di estromettere la società civile dalla partecipazione ai processi di selezione elettorale.
 1.2 La crisi dei partiti politici
Da qualche decennio una profonda crisi ha investito i partiti politici. In Italia, già negli anni Novanta, la “bufera Tangentopoli” ha sconvolto la geografia politica del Paese, portando alla disgregazione di un intero sistema di produzione del consenso e di Governo.
Il sistema nato dopo tale crisi (la Seconda Repubblica), purtroppo, ha riproposto i medesimi problemi, aggravandoli: attualmente, ad una diffusa illegalità (che purtroppo ha pesanti ripercussioni sul consenso e sull'interesse dei cittadini per la politica) si è affiancata una forte difficoltà nella gestione dei processi di governo. Difficoltà che ha condotto all'avvento del governo tecnico di Mario Monti (meritevole di essere riuscito a governare e risanare l’Italia in piena crisi economica e finanziaria, ma che governa al di fuori delle logiche del consenso).
Le cause della crisi dei partiti politici non sono tutte imputabili agli uomini e alle donne che appartengono a tali organizzazioni: molto hanno pesato la congiuntura economica, i forti cambiamenti nell'assetto politico mondiale ed europeo e le dinamiche (in parte incontrollabili e certamente perverse) di una speculazione finanziaria particolarmente aggressiva nei confronti dei debiti pubblici dei paesi europei.
Certamente il problema dell’illegalità è totalmente riconducibile a chi, aderendo ad un partito politico, ha scelto di mettere in pratica attività contrarie alla legge. E agli stessi partiti, che non hanno saputo selezionare adeguatamente i propri iscritti e spesso non hanno voluto sanzionare (o per lo meno stigmatizzare) le condotte illecite dei propri eletti al livello locale e nazionale.
Invece, altre cause della crisi non sono direttamente attribuibili ai partiti, ma sono la conseguenza delle vicende storiche del XX secolo. In particolare, non è colpa dei partiti politici italiani se, di recente, le idee, gli ideali, gli idealismi, le ideologie e le fedi (religiose o laiche), che hanno influenzato l’opinione pubblica (producendo consenso) e l’azione politica (generando scelte di governo) del Novecento, sono venuti meno. Alcuni avvenimenti storici (come la fine della Guerra Fredda, la caduta del Muro a Berlino, le crisi del sistema finanziario, i flussi migratori), hanno messo in crisi il Pensiero Liberale, il Pensiero (più o meno) di Sinistra, la Visione (Demo)Cristiana della Società; ed hanno privato la società italiana e la politica di matrici (valori) in grado di generare consenso e scelte di governo. Questa caduta delle matrici (o caduta dei valori), può sembrare molto astratta e teorica, ma potrebbe essere cruciale per comprendere la crisi attuale e le possibili vie di uscita.
Credo che il decennio 1990 – 2000 rappresenti uno spartiacque fra due mondi (e fra due modi diversi di fare politica). Tale decennio (anno più, anno meno), permette di determinare un prima e un dopo.
Prima (prima della caduta del Muro di Berlino, prima dell’ 11 Settembre, ecc …), esisteva una società che tendeva ad aggregare le persone in classi sociali (o ceti, o gruppi … anche la definizione del fenomeno rivelava una capacità di leggere diversamente un medesimo assetto sociale), verso cui i partiti politici potevano indirizzare i propri processi di produzione del consenso e orientare i propri processi di governo.
Dopo (cioè oggi), è nata una società sempre più individualizzata: una società più sensibile alle differenze e ai diritti individuali, ma anche sempre più disgregata, disorganica, intellegibile. Fino al punto che gli stessi partiti politici, probabilmente, non hanno più saputo a chi chiedere il consenso e nell’interesse di chi governare.
La politica ha reagito alla caduta delle matrici (o caduta dei valori), proponendo modelli di pensiero e di  governo incentrati sull’individualismo. L’ascesa politica della Lega di Bossi e del Partito-Azienda di Berlusconi è stata favorita da un sentire comune sempre più sensibile agli interessi dell’individuo o della comunità locale, in contrasto con gli interessi della collettività o delle classi sociali. Tuttavia, questo “slittamento verso l’individuo” non si è evidenziata solo nell’area politica del Centro-Destra: anche a Sinistra, si sono, negli anni, sempre più privilegiati temi legati alla sfera dei diritti individuali (diritti di cittadinanza, eutanasia, pari opportunità, integrazione sociale dei disabili, libertà di espressione, diritti delle coppie omosessuali, ecc …). Ovviamente, si tratta di temi importantissimi. Tuttavia, l’azione politica dei partiti più progressisti del nostro paese si è concentrata prevalentemente su tali temi, senza più sviluppare progetti di carattere generale, volti al cambiamento del sistema sociale, economico, culturale del nostro Paese.
Il risultato di questo slittamento (bipartisan) verso l’individualismo è sotto gli occhi di tutti: una politica incapace di aggregare stabilmente il consenso e che difficilmente riesce a compiere scelte di governo nell’interesse comune, e a discapito dell’interesse dei singoli.
1.3 Esiste una soluzione?
La mia opinione è che difficilmente, nel prossimo futuro, la società cambierà il proprio assetto individualista. Di conseguenza, non possiamo aspettarci che la crisi dei partiti politici si risolva grazie all’emergere di nuove matrici (valori) in grado di generare consenso e scelte di governo.
Da Platone e Marx (passando per Hobbes ed Hegel), le teorie politiche che hanno promosso una idea forte dello Stato (ed assegnato alla politica un ruolo di promozione del bene comune e di progresso), avevano come fondamento un pensiero totalizzante, scarsamente interessato alla differenze individuali e tutto concentrato a descrivere la struttura globale dell’essere, della conoscenza, della storia. Per tale pensiero la Politica mira al bene comune, nella misura in cui individua, propone e realizza scelte volte a un bene comune che non è la somma, bensì il superamento dei bisogni individuali.  Una società individualizzata (come quella in cui viviamo) non potrebbe mai accettare la nascita e l’imporsi di un tale pensiero totalizzante.
Dal momento che la società non presenta più aggregazioni (classi sociali) di riferimento per i partiti politici, essi devono trovare al proprio interno dei meccanismi di mediazione e di unificazione delle istanze individuali. Inoltre i partiti politici devono definire, sempre al proprio interno, delle procedure per gestire le scelte di governo, la creazione del consenso e i processi di selezione elettorale nel rispetto della legalità.
Tali meccanismi e procedure, nello specifico, dovranno:
  1. Favorire canali di dialogo fra politica ed elettorato
  2. Veicolare i bisogni della società in modo non individualizzato
  3. Stabilire procedure per l’elaborazione dei programmi elettorali, visti come ipotesi di “trattamento” dei problemi emergenti nel  contesto socio-economico di riferimento
  4. Individuare principi chiari per l’individuazione dei candidati (che abbiano un fondamento etico)
  5. Garantire il rispetto della legalità nello svolgimento delle campagne elettorali
  6. Prevenire l’insorgenza di condotte illegali, da parte dei rappresentanti dei partiti
  7. Individuare e gestire il rischio di perdita del consenso.
  8. Assicurare la continuità nell'attività di amministrazione e di governo, anche a fronte di situazione di crisi e di incertezza
  9. Promuovere una attività politica “socialmente responsabile (cioè attenta alle conseguenze che le scelte di governo possono avere sugli interessi e i beni collettivi
Si tratta di obiettivi che un partito politico potrebbe raggiungere, semplicemente dotandosi di un sistema di controllo. I prossimi capitoli saranno dedicati, quindi, ad individuare le caratteristiche di tale sistemi di gestione.
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Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)
cell. 3472728727 - andreaferrarini@inwind.it

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