1.1 Obiettivi, macro-tipologie di
processo, monopoli e funzione storica delle organizzazioni politiche
I partiti politici esistono per conseguire 2
obiettivi, fra loro correlati:
- la
creazione del consenso
- il
governo della Cosa Pubblica
La
creazione del consenso si
concretizza attraverso una serie di processi, interni ai partiti, finalizzati
alla produzione di idee, programmi, e
progetti, alla rilevazione dei bisogni della società civile, al dialogo con altre realtà associative (ad
esempio sindacati, associazioni di imprenditori, ecc …) al tesseramento, che consente ai partiti di portare al proprio interno
rappresentanti del contesto sociale e produttivo. Tutti questi processi sono finalizzati
ad acquistare credibilità, per ottenere la fiducia degli elettori.
Il
governo della cosa pubblica, invece, è
esercitato dai singoli rappresentati dei partiti (gli eletti) all’interno delle istituzioni. Attraverso i propri eletti, i partiti politici esercitano
una funzione pubblica, che si
concretizza nella conduzione di processi di scelta,
controllo, indirizzo sull’operato della componente burocratico-amministrativa dello Stato, delle Regioni, dei
Comuni. La funzione di governo dei
partiti si estende anche ad eventuali altri Enti non territoriali di rilevanza
pubblica o a Società a partecipazione pubblica.
Nel sistema politico democratico, le idee, i
progetti e i programmi dei partiti vengono trasferiti
dalla sfera del consenso alla sfera di governo attraverso le elezioni. Per partecipare alle elezioni,
i partiti devono mettere in atto una ulteriore serie di processi, finalizzati
alla scelta dei candidati, alla
definizione di eventuali alleanze e del
programma di governo, alla gestione della comunicazione (propaganda elettorale).
Riassumendo, i partiti politici gestiscono tre
distinte macro-tipologie di processi:
1. Processi di produzione del consenso
(elaborazione di idee, programmi e progetti; rilevazione dei bisogni del
contesto sociale ed economico;
tesseramento)
2. Processi di selezione elettorale (individuazione
dei candidati, scelta delle alleanze, definizione di un programma di governo,
gestione della comunicazione e della propaganda elettorale)
3. Processi di governo (attività di scelta,
controllo e indirizzo dell’operato della pubblica amministrazione, esercizio
del potere legislativo ed esecutivo)
I partiti politici sono stati, fino ad oggi, i
principali protagonisti delle democrazie parlamentari: pur non avendo detenuto
il monopolio sulla produzione del
consenso (non sono gli unici produttori di idee, progetti e programmi di
miglioramento e gestione delle dinamiche economiche e sociali), hanno avuto il monopolio sui processi di selezione
elettorale e sui processi di governo.
Una prova “in negativo” della centralità dei
partiti nell’età contemporanea è rappresentato dal fatto che dittature come il
Fascismo in Italia, o il Nazismo in Germania, siano sorte “sfruttando”
strutture di governo basate sui partiti, imponendo un Partito Unico, in grado
di detenere il controllo assoluto sulla produzione del consenso e sui processi
di governo, e di estromettere la società civile dalla partecipazione ai
processi di selezione elettorale.
1.2 La
crisi dei partiti politici
Da qualche decennio una profonda crisi ha investito
i partiti politici. In Italia, già negli anni Novanta, la “bufera Tangentopoli”
ha sconvolto la geografia politica del Paese, portando alla disgregazione di un
intero sistema di produzione del consenso e di Governo.
Il sistema nato dopo tale crisi (la Seconda
Repubblica), purtroppo, ha riproposto i medesimi problemi, aggravandoli:
attualmente, ad una diffusa illegalità (che purtroppo ha pesanti ripercussioni
sul consenso e sull'interesse dei cittadini per la politica) si è affiancata
una forte difficoltà nella gestione dei processi di governo. Difficoltà che ha
condotto all'avvento del governo tecnico di Mario Monti (meritevole di essere
riuscito a governare e risanare l’Italia in piena crisi economica e
finanziaria, ma che governa al di fuori delle logiche del consenso).
Le cause della crisi dei partiti politici non sono
tutte imputabili agli uomini e alle donne che appartengono a tali
organizzazioni: molto hanno pesato la congiuntura economica, i forti
cambiamenti nell'assetto politico mondiale ed europeo e le dinamiche (in parte
incontrollabili e certamente perverse) di una speculazione finanziaria
particolarmente aggressiva nei confronti dei debiti pubblici dei paesi europei.
Certamente il problema dell’illegalità è totalmente
riconducibile a chi, aderendo ad un partito politico, ha scelto di mettere in
pratica attività contrarie alla legge. E agli stessi partiti, che non hanno
saputo selezionare adeguatamente i propri iscritti e spesso non hanno voluto
sanzionare (o per lo meno stigmatizzare) le condotte illecite dei propri eletti
al livello locale e nazionale.
Invece, altre cause della crisi non sono
direttamente attribuibili ai partiti, ma sono la conseguenza delle vicende
storiche del XX secolo. In particolare, non è colpa dei partiti politici
italiani se, di recente, le idee, gli
ideali, gli idealismi, le ideologie e
le fedi (religiose o laiche), che
hanno influenzato l’opinione pubblica (producendo consenso) e l’azione politica
(generando scelte di governo) del Novecento, sono venuti meno. Alcuni
avvenimenti storici (come la fine della Guerra Fredda, la caduta del Muro a
Berlino, le crisi del sistema finanziario, i flussi migratori), hanno messo in
crisi il Pensiero Liberale, il Pensiero (più o meno) di Sinistra, la Visione (Demo)Cristiana della Società; ed hanno privato la società
italiana e la politica di matrici
(valori) in grado di generare consenso e scelte di governo. Questa caduta delle matrici (o caduta dei
valori), può sembrare molto astratta e teorica, ma potrebbe essere cruciale per
comprendere la crisi attuale e le possibili vie di uscita.
Credo che il decennio 1990 – 2000 rappresenti uno
spartiacque fra due mondi (e fra due modi diversi di fare politica). Tale
decennio (anno più, anno meno), permette di determinare un prima e un dopo.
Prima (prima della caduta del Muro di Berlino, prima
dell’ 11 Settembre, ecc …), esisteva una società che tendeva ad aggregare le
persone in classi sociali (o ceti, o gruppi … anche la definizione
del fenomeno rivelava una capacità di leggere diversamente un medesimo assetto
sociale), verso cui i partiti politici potevano indirizzare i propri processi
di produzione del consenso e orientare i propri processi di governo.
Dopo (cioè oggi), è nata una società sempre più
individualizzata: una società più sensibile alle differenze e ai diritti individuali, ma anche sempre più
disgregata, disorganica, intellegibile. Fino al punto che gli stessi partiti
politici, probabilmente, non hanno più saputo a chi chiedere il consenso e nell’interesse di chi governare.
La politica ha reagito alla caduta delle matrici (o caduta dei valori), proponendo modelli di
pensiero e di governo incentrati
sull’individualismo. L’ascesa politica della Lega di Bossi e del Partito-Azienda
di Berlusconi è stata favorita da un sentire
comune sempre più sensibile agli interessi dell’individuo o della comunità
locale, in contrasto con gli interessi della collettività o delle classi
sociali. Tuttavia, questo “slittamento verso l’individuo” non si è evidenziata
solo nell’area politica del Centro-Destra: anche a Sinistra, si sono, negli
anni, sempre più privilegiati temi legati alla sfera dei diritti individuali
(diritti di cittadinanza, eutanasia, pari opportunità, integrazione sociale dei
disabili, libertà di espressione, diritti delle coppie omosessuali, ecc …).
Ovviamente, si tratta di temi importantissimi. Tuttavia, l’azione politica dei
partiti più progressisti del nostro paese si è concentrata prevalentemente su
tali temi, senza più sviluppare progetti di carattere generale, volti al cambiamento
del sistema sociale, economico, culturale del nostro Paese.
Il risultato di questo slittamento (bipartisan)
verso l’individualismo è sotto gli occhi di tutti: una politica incapace di
aggregare stabilmente il consenso e che difficilmente riesce a compiere scelte
di governo nell’interesse comune, e a discapito dell’interesse dei singoli.
1.3
Esiste una soluzione?
La mia opinione è che difficilmente, nel prossimo
futuro, la società cambierà il proprio assetto individualista. Di conseguenza,
non possiamo aspettarci che la crisi dei partiti politici si risolva grazie
all’emergere di nuove matrici
(valori) in grado di generare consenso e
scelte di governo.
Da Platone e Marx (passando per Hobbes ed Hegel),
le teorie politiche che hanno promosso una idea forte dello Stato (ed assegnato
alla politica un ruolo di promozione del bene comune e di progresso), avevano
come fondamento un pensiero totalizzante,
scarsamente interessato alla differenze individuali e tutto concentrato a
descrivere la struttura globale dell’essere, della conoscenza, della storia.
Per tale pensiero la Politica mira al bene comune, nella misura in cui
individua, propone e realizza scelte volte a un bene comune che non è la somma, bensì il superamento dei bisogni individuali. Una società individualizzata (come quella in
cui viviamo) non potrebbe mai accettare la nascita e l’imporsi di un tale
pensiero totalizzante.
Dal momento che la società non presenta più
aggregazioni (classi sociali) di riferimento per i partiti politici, essi devono
trovare al proprio interno dei meccanismi
di mediazione e di unificazione delle istanze individuali. Inoltre i
partiti politici devono definire, sempre al proprio interno, delle procedure per gestire le scelte di
governo, la creazione del consenso e i processi di selezione elettorale nel
rispetto della legalità.
Tali meccanismi e procedure, nello specifico,
dovranno:
- Favorire
canali di dialogo fra politica ed elettorato
- Veicolare
i bisogni della società in modo non individualizzato
- Stabilire
procedure per l’elaborazione dei programmi elettorali, visti come ipotesi
di “trattamento” dei problemi emergenti nel contesto socio-economico di riferimento
- Individuare
principi chiari per l’individuazione dei candidati (che abbiano un
fondamento etico)
- Garantire
il rispetto della legalità nello svolgimento delle campagne elettorali
- Prevenire
l’insorgenza di condotte illegali, da parte dei rappresentanti dei partiti
- Individuare
e gestire il rischio di perdita del consenso.
- Assicurare
la continuità nell'attività di amministrazione e di governo, anche a
fronte di situazione di crisi e di incertezza
- Promuovere
una attività politica “socialmente responsabile (cioè attenta alle
conseguenze che le scelte di governo possono avere sugli interessi e i
beni collettivi
Si tratta di obiettivi che un partito politico
potrebbe raggiungere, semplicemente dotandosi di un sistema di controllo. I
prossimi capitoli saranno dedicati, quindi, ad individuare le caratteristiche
di tale sistemi di gestione.
CONTINUA A LEGGERE:
Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi
ex d.lgs 231/2001)
cell. 3472728727 - andreaferrarini@inwind.it
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