venerdì 27 gennaio 2012

Che rischio è il rischio 231?

Il decreto 231/2001, introducendo nell’ordinamento italiano la responsabilità amministrativa da reato, ha anche introdotto una nuova tipologia di rischio per le aziende. I modelli 231 possono mitigare o annullare completamente questo rischio, nella misura in cui, per volontà del legislatore, tali modelli, correttamente applicati e aggiornati, sollevano gli Enti dalla suddetta responsabilità amministrativa (valore esimente dei modelli). Ma di che natura è il rischio 231? In altre parole, quando, per costruire i modelli 231, si attuano risk assessments, esattamente, cosa si sta valutando? Di cosa, in fin dei conti, si sta parlando? Rispondere non è poi così facile.

E’ un rischio che dipende dalla legge
Si tratta, innanzitutto di un rischio che potremmo definire legale, nel senso che, a causa del decreto, un Ente può essere chiamato in giudizio per responsabilità amministrativa in relazione a un ristretto numero di reati. Affinché questo accada, è necessario che un Pubblico Ministero formuli una ipotesi di reato e chieda un rinvio a giudizio. Se non si conoscono i reati-presupposto della responsabilità amministrativa,  i possibili comportamenti che possono integrare tali reati, gli orientamenti dei tribunali, non è possibile costruire un modello 231 efficace. Quindi, la gestione del rischio 231 richiede competenze legali.

E’ un rischio che dipende dall'organizzazione.
Il valore esimente di modelli dimostra, però, che il rischio 231  è anche strettamente correlato alla necessità, per l’Ente, di attuare una corretta governance sugli esiti dei processi aziendali, sulle modalità di comportamento delle risorse umane, sui propri valori … dunque il rischio 231 non si concretizza solo (e una volta ogni tanto) nelle aule giudiziarie, ma vive quotidianamente dentro  la struttura dell’ Ente. Per gestirlo efficacemente, sono necessarie competenze nel campo della analisi organizzativa.

E’ un rischio che dipende dal contesto sociale e culturale
Negli ultimi 10 anni sempre più reati sono confluiti nel  d.lgs 231/2001, anche per l’emergere, nella società italiana,di sensibilità nuove volte a promuovere la tutela dei diritti/interessi collettivi e la responsabilità sociale delle imprese. Quindi, il rischio 231 ha le sue radici anche fuori dall’Ente, nel contesto sociale e culturale e muta con esso: la corretta gestione del rischio 231 di una azienda passa anche attraverso l’individuazione e la tutela degli stakeholders che si interfacciano con essa.

IL RISCHIO 231 E’ UN RISCHIO TRIDIMENSIONALE
In conclusione, il rischio 231 sembra essere una entità complessa, che si sviluppa attraverso tre dimensioni: la dimensione legale dei comportamenti illeciti, la dimensione organizzativa del controllo sui processi e la dimensione sociale degli interessi collettivi.

                                                                                          [CONTINUA]
Scritto da Andrea Ferrarini (Consulente Modelli Organizzativi ex d.lgs 231/2001)

giovedì 12 gennaio 2012

Un crac, uno scandalo e una grande paura ...

Il dissesto finanziario del S. Raffaele. Il presunto traffico illecito di rifiuti nocivi legato alla realizzazione dell’autostrada Bre.Be.Mi. I timori legati alla sicurezza dei cantieri e alla regolarità degli appalti legati a EXPO 2015… tre storie lombarde che mettono in luce, a 360 gradi, tutte le criticità che possono emergere in seno a società gestite in modo poco responsabile, per non dire in modo illecito. Le conseguenze ricadono, sempre, sulla collettività: sulla salute delle persone, sugli interessi dei soci, sugli enti pubblici che si affidano ai privati, per realizzare opere pubbliche, eventi o per erogare servizi di pubblico interesse nel campo della sanità, del lavoro, della ricerca e della formazione professionale.
Ogni tanto, però, arrivano delle buone notizie: il 10 gennaio 2012 è stato firmato un protocollo d’intesa fra Expo 2015 SpA, Comune di Milano, Comune di Rho, Sindacati ed Associazioni di categoria, per il contrasto alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali e il rispetto della disciplina legislativa sulla sicurezza nei cantieri Expo. E’ previsto anche un Osservatorio permanente di cui faranno parte i rappresentanti dei soggetti firmatari, con lo scopo di monitorare l’applicazione del protocollo. Belle intese e buoni propositi, che però rischiano di rimanere solo sulla carta, se non si promuove una cultura di impresa rispettosa dei valori etici, della legge e degli interessi della collettività.
A questo fine, l’adozione di modelli di organizzazione e controllo ex d.lgs 231/2001 può essere certamente molto utile. Tali modelli prevedono regolamenti, procedure e sanzioni, per controllare le conseguenze etiche dei processi e tutelare gli stakeholders che si interfacciano con una azienda. E il loro scopo è quello di rilevare e ridurre il rischio che dirigenti o dipendenti commettano degli illeciti nell’interesse dell’azienda.  
Fino ad oggi, dei “Modelli 231” è stato sottolineato soprattutto il valore esimente (essi esonerano le aziende che li adottano da responsabilità in sede penale, nel caso in cui si possa dimostrare che chi ha commesso il reato ha agito raggirando il modello), che entra in gioco quando un reato è già stato commesso. A mio parere, Invece, la vera forza e utilità per le aziende di questi modelli risiede proprio nel loro valore preventivo e nella loro capacità di promuovere una cultura d’impresa compatibile con gli interessi collettivi ed il rispetto della legalità.