sabato 30 aprile 2011

d.lgs 231/2001 ed imprese individuali. Nuova sentenza della cassazione

Con la sentenza n. 15657 - sezione III penale – la Corte di Cassazione ha confermato la sanzione interdittiva della revoca dell’autorizzazione alla raccolta e conferimento di rifiuti speciali a carico di una impresa individuale di Caltanissetta. E’ la prima volta, dall’entrata in vigore del d.lgs 231/2001, che una impresa individuale viene condannata per responsabilità amministrativa dipendente da un illecito penale.

Nel caso specifico, impresa individuale era incorsa nel gravissimo reato di associazione a delinquere. Tuttavia, tale sentenza può avere delle potenziali conseguenze anche per altre tipologie di reato, contestate a ditte individuali.  

Infatti, la Cassazione ha dichiarato che pur “non cogliendosi nel testo [del d.lgs. 231/2001] alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai ad una implicita  inclusione dell’area dei destinatari della norma”.

Secondo la Cassazione, inoltre “l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico dalla c.d. <ditta individuale>) ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività” e quindi  “è indubbio che la disciplina dettata dal Dlgs 231/01 sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.c. <uni personali>”.

Molte imprese individuali, soprattutto quelle attive nel settore edile, informatico, o che svolgono attività commerciale e di import/export, potrebbero essere sensibili alle seguenti tipologie di reato:

1)      Infortuni sul lavoro derivanti dal mancato rispetto della normativa antinfortunistica e di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro
2)      Reati contro la pubblica amministrazione (per esempio in conseguenza di gestione di appalti pubblici)
3)      Reati contro l’industria e il commercio
4)      Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (per esempio in caso di utilizzo di manodopera straniera.
5)      Violazione di banche dati informatiche o violazione dei diritti d’autore.

Ovviamente, non è detto che tali reati siano stati commessi o saranno commessi. Tuttavia, nel caso in cui ciò dovesse accadere, la sentenza 15657 della Cassazione potrebbe orientare un  Tribunale a chiamare le imprese in causa ai sensi del d.lgs 231/2001, con il rischio di sanzioni Interdittive di carattere preventivo (quali la sospensione dell’attività di cantiere, in caso di infortunio sul lavoro), che porterebbero all’interruzione parziale o totale dell’attività aziendale anche prima della condanna definitiva in sede penale. Ma anche le sole sanzioni pecuniarie (le sanzioni minime previste dal d.lgs 231/2001) sono di entità tale da mettere in ginocchio una piccola impresa.

A fronte di questi rischi (facendo un calcolo fra costi e benefici), sarebbe consigliabile che anche tali Imprese adottassero un modello organizzativo e di gestione, come richiesto dal d.lgs 231/2001.

Oltre tutto, un modello organizzativo per una impresa individuale sarebbe molto facile ed economico da costruire e gestire, considerando che tali imprese hanno una struttura organizzativa molto semplice, pochi dipendenti ed un numero limitato di processi a rischio.

Scritto da ANDREA FERRARINI ( http://www.linkedin.com/in/andreaferrarini )

giovedì 21 aprile 2011

Thyssen: una svolta "epocale"

Fonte: La Stampa on line
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/398125/

TORINO
La Corte di Assise di Torino ha riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale per i sette morti del rogo alla Thyssen. L’amministratore delegato Herald Espenhahn è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione come richiesto dalla pubblica accusa.

Le condanne nei confronti dei manager sono sei. La Corte ha accolto infatti le richieste dell’accusa anche per gli altri imputati: Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, tutti condannati a 13 anni e mezzo di reclusione. Per l’imputato Daniele Moroni la pena comminata è stata di 10 anni e 10 mesi, superiore ai nove anni richiesti dall’accusa.

Le reazioni
«E’ una svolta epocale, non era mai successo che per una vicenda di morti sul lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale», ha detto il pm Raffaele Guariniello mentre l’aula accoglieva la sentenza con un applauso. Una condanna – ha detto – non è mai una vittoria o una festa. «Però questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Credo che da oggi in poi – ha concluso – i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza e che le imprese possano essere invogliate a fare molto di più per la sicurezza».

La protesta dell’azienda
All’azienda, invece, la decisione dei giudici appare «incomprensibile e inspiegabile». «È sconsolante», dice il legale, l’avv. Cesare Zaccone, annunciando un appello dal quale però crede già «di non ottenere molto di più». Al sindaco di Terni, Di Girolamo, sembra che «questa volta la giustizia sia stata ingiusta e abbia calcato troppo la mano». Dice di non capire la decisione dei giudici torinesi e che la sentenza «è punitiva nei confronti dell’azienda e dei lavoratori che – secondo lui – ora si troveranno in difficoltà». Ai parenti delle vittime, però, anche stasera, la Thyssenkrupp esprime «il suo più profondo cordoglio e rinnova il suo grande rammarico per il tragico infortunio avvenuto in uno dei suoi stabilimenti».

La politica
Alla lettura della sentenza, in un’aula stracolma, i parenti applaudono con la forza che libera da un incubo, si stringono in abbracci, qualcuno piange, qualcuno resta immobile, quasi impassibile, uno si sente male e lo adagiano su una barella. Tutti ringraziano il pm Raffaele Guariniello che sulla sentenza è lapidario. «Deve fare sperare i lavoratori – dice – e far pensare gli imprenditori». Per il Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, la sentenza è la dimostrazione che in Italia ci sono leggi «adeguate anche nel caso delle violazioni più gravi». Politica e sindacato, da Vendola a Delfino, da Fassino a Ferrero, da Chiamparino a Cota, da Airaudo a Cremaschi, da Landini a Farina, con toni e sfumature diverse, sottolineano la portata storica della sentenza, sperano che possa aiutare a fermare le morti bianche e lo stillicidio di chi perde la vita per lavorare.

La vicenda
È la notte del 6 dicembre 2007, quando un violento rogo divampa all’interno dell’acciaeria, in corso Regina Margherita: da una vasca fuoriesce una quantità di olio bollente in pressione, che in pochi attimi sviluppa un incendio. Non è la prima volta che accade: un episodio simile, senza vittime, si era già verificato. Gli operai vengono travolti dal fuoco. Un lavoratore muore dopo pochi minuti, altri sei perdono la vita nei giorni successivi. Si chiamano Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola. Il processo è lungo e segnato da molti colpi di scena. Da una serie di testimonianze, emergono carenze nel sistema di sicurezza. A scatenare le polemiche sono soprattutto i legali dell’azienda quando indicano possibili «colpe» degli operai nel rogo dell’impianto. Salvo poi smentirsi: alle vittime non sono imputabili responsabilità precise, sottolineerà poi la Thyssen.

Il processo
Il procedimento si apre il 15 gennaio 2009 nel Palazzo di giustizia di Torino. Sul banco degli imputati l’amministratore delegato della multinazionale tedesca, Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale. Imputati anche l’azienda come persona giuridica e altri cinque dirigenti, accusati di omicidio colposo aggravato: Cosimo Cafueri, Daniele Moroni, Gerald Prigneitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno. Il pubblico ministero è Raffaele Guariniello. La Corte d’Assise respinge la costituzione di parte civile per oltre 50 operai: questi firmarono un verbale di conciliazione, accettando la concessione di una somma in cambio della rinuncia alla richiesta di risarcimento. Centinaia di testimoni vengono ascoltati da entrambe le parti. Il 13 febbraio 2009 viene mostrato in aula un video choc della polizia scientifica che mostra le immagini del cadavere di Antonio Schiavone, il primo operaio deceduto nella tragedia. Molti parenti escono dall’aula. Nelle udienze successive iniziano a emergere le carenze della sicurezza. Vengono chiamati a testimoniare anche tre ispettori della Asl 1 di Torino, accusati di aver favorito la multinazionale con controlli annunciati e prescrizioni tardive, ma si avvalgono della facoltà di non rispondere.

Le condanne
Dopo una serie di ulteriori sedute, e diversi rinvii, inizia la requisitoria dei pm: Guariniello chiede 16 anni e mezzo di reclusione per Espenhahn, 13 anni e 6 mesi per quattro dirigenti, 9 anni per il quinto. La difesa chiede invece assoluzione piena per tutti gli imputati. Fino all’epilogo della sentenza

Scritto da ANDREA FERRARINI ( http://www.linkedin.com/in/andreaferrarini )

giovedì 14 aprile 2011

Anche le strutture sanitarie a partecipazione pubblica sono soggette al d.lgs 231/2001.

Una importante sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 2 Penale, Sentenza 21.7.2010, n. 28699), chiarisce definitivamente che tutti gli enti devono dotarsi di MODELLI 231, anche se promuovono valori e diritti costituzionalmente rilevanti. Sono esonerati solo gli enti di rilevanza costituzionale, cioè quanto meno citati nella Costituzione.
Nel gennaio del 2010 nell’ambito di un procedimento penale per truffa ai danni dello stato, il GIP del tribunale di Belluno aveva disposto, ai sensi del d.lgs 231/2001, il sequestro preventivo dei beni di una struttura ospedaliera specializzata, che operava in forma di società per azioni partecipata al 49% da capitale privato e al 51% da capitale pubblico. Il sequestro, di oltre due milioni di euro, insisteva sul bilancio della struttura ospedaliera e di una sua partecipata.
Con ordinanza 26.2.10 il Tribunale di Belluno, sezione riesame, aveva però annullato la misura cautelare sul presupposto dell’inapplicabilità del d.lgs 231/01 alla struttura ospedaliera, in quanto ente pubblico.
Il PM del Tribunale di Belluno ha fatto ricorso in Cassazione contro l’annullamento del sequestro, sostenendo che la struttura, pur essendo partecipata per il 51% da capitali pubblici, operava in forma di Società per Azioni, senza che la Ulss n. 1 di Belluno svolgesse adeguati controlli sul suo operato. Una ulteriore  prova dell’applicabilità del D.lgs. 231/2001 anche agli enti che svolgono pubblici servizi era, secondo il PM, il fatto che la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche era prevista in connessione anche con reati come la concussione, in cui la necessaria qualifica soggettiva del soggetto agente postulava la natura pubblicistica dell’attività espletata.
La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, stabilendo che “la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esonero della disciplina in discorso, dovendo altresì concorrere la condizione che l’ente medesimo non svolga attività economica”.
Nel caso in esame specie mancava la prima condizione, vale a dire l’assenza di attività economica, in quanto la struttura sanitaria era una società per azioni e “ogni società, proprio in quanto tale, è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al fine di dividerne gli utili (ai sensi  dell’art. 2247 c.c.), a prescindere da quella che sarà –poi- la destinazione degli utili medesimi, se realizzati”.
Nel richiedere il rigetto del ricorso in Cassazione, la difesa della struttura ospedaliera aveva insistito sull’inapplicabilità della disciplina del d.lgs n. 231/01, in quanto la struttura (operando in ambito sanitario) sarebbe stata qualificabile non solo come ente pubblico, ma anche come ente chiamato a svolgere funzioni di rilievo costituzionale (cfr. art. 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”)
Questo’assunto, per la Suprema Corte, è manifestatamene infondato perché l’esclusione degli enti di rilevanza costituzionale dalla disciplina della responsabilità d’impresa (prevista dallo stesso d.lgs 231/2001), è motivata dalla “necessità di preservare enti rispetto ai quali le misure cautelari e le sanzioni applicabili ai sensi del d.lgs n. 231/01 sortirebbero l’effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali”.
La struttura sanitaria, pur svolgendo una attività di indubbio valore costituzionale (la tutela della salute pubblica)  non era, di suo, un ente di rilevanza costituzionale, in quanto questa qualifica è riservata esclusivamente agli enti menzionati nella Carta costituzionale. “Né si può qualificare come di rilievo costituzionale la funzione di una SPA, che è pur sempre quella di realizzare un utile economico”.
D’altro canto, conclude la Cassazione, se bastasse  – per l’esonero dal d.lgs 231/01 – la semplice rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione di un ente,  si giungerebbe “all’aberrante conclusione di escludere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma in quello dell’informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela dell’ambiente e del patrimonio storico e artistico, dell’istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori (e non “funzioni”) di rango costituzionale”.
Scritto da ANDREA FERRARINI ( http://www.linkedin.com/in/andreaferrarini )